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GOTLAND “Rise” (Recensione)


Full-length, Earth and Sky Productions
(2023)

Gotland è il nome dell’isola più grande della Svezia, situata nel cuore del Mar Baltico, nella parte sud-est del Paese; tra il 100 e il 500 d.C. essa conobbe un importante flusso migratorio verso sud, durante il periodo delle invasioni barbariche, favorendo da un lato la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e dall’altro l’unione dei popoli germanici dei Goti con i Romani, dando forma ai regni latino-germanici da cui tutti noi deriviamo. Questo è il concept principale intorno al quale prendono vita i Gotland, formazione epic/black metal dalle tinte folk di Torino nata nel 2007 e appena giunta al suo secondo album in studio, dal titolo “Rise”; il quintetto piemontese si fa pioniere di un pezzo di storia antica della nostra civiltà, proponendo un black metal dai toni viking e sinfonici incentrato sulla storia tardo-romana, molto variegato e personale, che tende a richiamare le atmosfere ancestrali e tradizionali delle sue liriche senza mai eccedere con la ricerca musicale.

“Rise” giunge a nove anni distanza dall’ottimo album di debutto “Gloria et Morte” e sancisce una netta evoluzione stilistica da parte dei Gotland, più orientata verso l’epic black metal che non sul folk degli esordi: il lungo lavoro si divide in cinque atti per un totale complessivo di diciassette tracce, tra cui un’intro e quattro interludi recitati, a dar l’idea di una vera e propria Opera di metal estremo. La formazione è guidata dalle chitarre di Eg Orkan e di Insanus e dallo scream di Irmin, mentre al basso ritroviamo Var, alla batteria Hoskuld e alle orchestrazioni Hyde; completano il tutto Emperor Augustus con la sua voce narrata e una serie di guest, tra cui spicca il cantante dei Furor Gallico Davide Cicalese, con lo pseudonimo di Germanicus.

L’album si apre con l’introduzione ambient recitata di “Foedus”, seguita dalle atmosfere epiche e corali di “Roman and Cheruscan”, che dopo una prima parte melodic death metal esplode nella furia di un black metal dal riffing serrato e dalle sinfonie solenni; un brillante intermezzo acustico folk in crescendo anticipa la ripresa finale, sancendo l’ennesima variazione di ritmo del brano. “The Downside” è uno degli episodi più brutali dell’album, caratterizzato da un blackened death metal tecnico e diretto guidato dal cantato alternato tra growl cavernoso e scream aperto di Irmin, in una serie di cambi di tempo che spaziano tra thrash/black e death/doom, nell’aura cupa partorita dalle orchestrazioni di Hyde. Nell’Atto II del lavoro spiccano i sette minuti di “Deception”, brano dall’incedere lento e sofferto che segue l’introduzione folk incontro a un mid-tempo melodico ed epico avvolto nel manto solenne delle sinfonie orchestrali e dei cori; l’accelerazione finale dal riffing tagliente sancisce l’evoluzione definitiva dal brano, sorprendendo l’ascoltatore con la sua violenza inattesa ma assolutamente efficacie.

“Spiriti delle Tenebre” è il primo brano cantato interamente in italiano, lento e con un cantato tragico e solenne, guidato da chitarre fredde e sinistre, ai confini del doom, fino alla serie di cambi di tempo vertiginosi del finale; “The Dishonour” si distingue invece per la sua ferocia, a metà tra il black e il death metal, con la batteria di Hoskuld che martella con violenza nella prima parte, per poi cambiare atmosfera nell’intermezzo delicato sinfonico che si apre ad un finale epico ben governato dallo scream disperato dell’ospite Varus. “Ballata del Tradiemento” è uno dei brani più riusciti del lavoro, introdotto da una sezione acustica e dalla voce soave e delicata di Thusnelda, che prosegue in un ottimo contrasto anche durante l’accelerazione black metal centrale, alternandosi al growl/scream di Irmin; un mid-tempo death/doom metal anticipa la ripresa finale, dai toni epici e solenni. Chiude il lavoro la ferocia della title-track, guidata dalla batteria di Hoskuld e dalle orchestrazioni travolgenti di Hyde, su cui si erge il cantato solenne in clean vocals di Eg Orkan, ad alternarsi allo scream del vocalist; il finale è un susseguirsi di accelerazioni black metal repentine e taglienti, rallentamenti sinfonici e crescendo strumentali epici e drammatici, fino alla conclusione malinconica in pianoforte con la voce narrata di Emperor Augustus, degna conclusione dell’opera.

“Rise” è un lavoro ottimamente composto ed eseguito che giustifica i lunghi anni trascorsi dall’esordio e mostra tutti i passi avanti nel sound dei Gotland, nonchè la loro accurata ricerca melodica: l’album si sviluppa attraverso le più variegate sfumature, a raccontare con voce, liriche e strumentazione il passaggio dalla gloria al decadimento dell’epoca romana e la continua contaminazione di culture, tradizioni e di sonorità. Le chitarre di Eg Orkan e Insanus si spingono spesso ai limiti del technical death metal, mostrando grande talento e precisione, anche se a guidare il sound del lavoro è la parte sinfonica epica e sontuosa di Hyde; gli interludi si pongono egregiamente tra una sezione e l’altra del lavoro, interrompendone la furia, e gli intermezzi all’interno dei brani, acustici e dai richiami folk, mostrano tutta la capacità del quintetto di Torino di abbassare i toni. “Rise” è in sostanza un lavoro completo e dalle molte sfumature, forse un po’ prolisso ed eccessivamente sospeso a metà tra black metal sinfonico e death metal tecnico, senza una linea musicale e stilistica ancora ben definita, che potrà sicuramente essere addomesticata nelle successive uscite della band.

Recensione a cura di Alessandro Pineschi
Voto: 75/100

Tracklist:
ACT I
1) Foedus (Intro)
2) Roman and Cheruscan
3) The Downside
4) Insidia

ACT II
5) Expectatio (Interlude)
6) Deception
7) Traitor or Savior

ACT III
8 ) Clades Variana (Interlude)
9) Slaughtered Centurions
10) Spiriti nelle Tenebre
11) The Dishonor

ACT IV
12) Imperium non Obliviscitur (Interlude)
13) Ballata del Tradimento
14) The Same Blood
15) Visurgis

ACT V
16) Invictus (Interlude)
17) Rise

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