Intervista: DEMOGHILAS
01 - Ciao Alfred! Parliamo della storia del tuo progetto musicale dagli inizi ad oggi.
Bentrovati e grazie, anzitutto! Ho sempre voluto mettere su una Rock band, senza preoccuparmi dello stile e delle tematiche. Ma oggi è così difficile gestire più teste, così imparando le tecniche dell’home recording e deciso a fare tutto da solo, il progetto Demoghilas nasce ufficialmente nell’estate 2016. Come detto altre volte, il nome deriva da un personaggio oscuro di un mio vecchio racconto, che voglio riesumare a breve. Non avevo idea che sarebbe stato un progetto mutaforma, che cambia genere ad ogni album, omaggiando sempre il sound underground anni ’80 e altre diramazioni Industrial Doom, sentivo solo che era la cosa più giusta da fare. I testi sono incentrati sulle mie esperienze negative, sul mondo di oggi - che io disprezzo con tutta la mia misantropia - ma anche sulle mie passioni, come i miei film/ fumetti/videogiochi preferiti. Mi ritengo un nerd, anzi un geek, aggiungere di tanto in tanto il nome di Godzilla o del Joker nelle lyrics è come mettere dello zucchero nell’acqua o il cacio sui maccheroni. Sono delle «parafrasi», delle metafore del diverso, dell’escluso, del vendicatore in questa giungla di malfattori, come direbbe mio zio Luigi! :D
02 - Come nasce un tuo brano e come avviene il processo compositivo?
Molti pezzi che ho realizzato, così come altri in cantiere, derivano da melodie che ho in testa da quando sono giovane. Non nascondo comunque che sono ispirazioni per altri pezzi più o meno famosi, ormai oggi è impossibile creare totalmente qualcosa di nuovo, tutto ciò che poteva essere raccontato o suonato è stato già fatto. Senza plagiare, io penso sempre che quando componi stai realizzando la prima canzone del mondo, anche se stai ricordando e raccontando una storia che esiste già . Questo concetto venne detto una volta dal Maestro Dario Argento, per il cinema, ma è così in ogni processo artistico o costruttivo, secondo me. In sostanza, prima ho bisogno della musica e poi delle parole, come disse Rudy de «La carica dei 101» ahah! :) Per i testi la faccenda diventa complicata, ho in mente le tematiche ma chiaramente le parole, le tempistiche, le rime e i personaggi di fantasia meglio adeguati… ci vuole tempo, lascio che siano i demoni nella mia testa o fuori dalla finestra che mi raggiungano e mi guidino fino all’operato compiuto. Registro tutto a casa con la mia scheda audio e il mio Mac, chitarre, basso e voce, la batteria è chiaramente programmata. La so suonare ma non così bene, e purtroppo ora non posso permettermi i costi di una batteria acustica in studio. È un’altra prerogativa del progetto Demoghilas: gli strumenti umani contro quelli della macchina nella stessa partita e con lo stesso scopo: consegnare il messaggio, spargere il verbo.
03 - Come nasce il tuo ultimo album "Sin Easter"? Quanto tempo hai impiegato per realizzarlo?
«Sin Easter» è stato concepito subito dopo il precedente «Gallows Hood» come un album di scarti, di canzoni che non avevano avuto il loro spazio nel secondo album. Un pò come «Rosenrot» dei Rammstein. Iniziai le composizioni proprio allo scoccare della pandemia, solo che pian piano mi rendevo conto di star maturando una storia autentica, nuova, e lo stile non mi convinceva. Capii che stavo ricercando un omaggio al Death Metal melodico, il genere che mi accompagnò nei miei primi anni universitari. Stabilii una formula: tremolo picking per la chitarra, doppia cassa, voci Industrial e basso molto punk, in modo che ogni suono si sentisse distintamente. In ogni pezzo, il pattern degli strumenti è sempre lo stesso, lo cambio solo di album in album. La chitarra qui, ad esempio, è un preset di Logic basato sulla sonorità dei Children of Bodom. In merito ai testi, inizialmente erano basati sui Sette Peccati Capitali come vengono trattati nelle solite opere di fantasia dantesche o quasi. «Darksiders» «Fullmetal Alchemist»… ma poi, come sempre, sono successe delle cose dentro e fuori di me, che hanno dato forma alla storia. Prima la pandemia, poi sono stato lasciato dalla mia lei dopo cinque anni, e ho iniziato a risalire dall’inferno riallacciando anche legami con dei vecchi amici che avevo allontanato nel pieno delle nostre divergenze, cercando di riconquistare e ritrovare quello che avevo perduto. Senza risultato. In questo album ci sono la rabbia per il rifiuto, la paura della solitudine, il dolore per l’abbandono ma anche la speranza, come delle piccole luci in questo mio mondo oscuro, sebbene abbia visto solo altri inganni e mi sia sempre più chiuso in me stesso, almeno per regalare una sorta di lieto fine a questo mio figlio artificiale… Come detto, le prime demo risalgono ai primi 2020, ma le registrazioni vere e proprie sono cominciate, a ritmi celeri, nell’estate del 2021, per concludersi poco dopo Natale.
04 - Quali sono stati i tuoi primi ascolti e quali sono ancora gli artisti che ti influenzano?
La mia band preferita sono i Rammstein, scoperti a 18 anni. In particolare, mi riconosco in gran parte dei testi del loro ultimo album, «Zeit». Gradualmente, ho iniziato a studiare il mio stile basandomi su quel genere Industrial, incorporando pian piano altri miei ascolti preferiti. Dal Doom dei Black Sabbath al Melodic Death degli Arch Enemy e degli Amon Amarth, dalla colonna sonora Prog dei Goblin a quella di Nobuo Uematsu, il compositore della saga di «Final Fantasy», anche in 8bit. Ma anche altri nomi dello Shock Rock come Alice Cooper e del Rock elettronico di Billy Idol. Ultimamente mi sono appassionato anche al Rock acustico, un giorno potrei proprio avviare un progetto apposito.
05 - Cosa ne pensi della scena metal italiana e come è cambiata per te nel tempo?
Hmmm, sinceramente non mi sono quasi mai interessato o appassionato alla scena Metal nostrana. Fatta eccezione per un gruppo che mi piace parecchio, i Death SS, mi piace ascoltarli leggendo Dylan Dog. Sono sempre stato attratto dai generi nordici, scandinavi, forse perché amo tremendamente quelle zone e da una vita sogno di andare a viverci, anche se ormai la mia casa è Roma. Nel mio vecchio paese, in Puglia, avevo pessimi rapporti con i miei «colleghi», tutti fissati con il Metal estremo e ostili a qualunque altro genere, soggetti chiusi mentalmente e dall’insulto facile. Non ho bei ricordi e una buona opinione. Ma alcuni amici si salvano, tutt’oggi c’è un bel feedback. Mi piacciono un casino i Goblin, proprio perché amo i film di Dario Argento, se vogliamo parlare di Metal allora dico i Daemonia, la loro nuova line-up. Per il resto, ci saranno delle buone band, ma il mio ascolto è orientato su altre zone, e non mi dispiacerebbe trasferirmici un giorno. Non mi sono mai sentito di appartenere a questa zona.
06 - Come sono stati i riscontri della critica finora per questo tuo muovo album?
Molto buoni, finora, per i miei standard. Sono riuscito a consegnare il messaggio senza che nulla si perdesse nell’etere o strada facendo, a differenza di «Gallows Hood» - che vedrà presto una re-incisione apposta - e mi piace mantenermi con un basso profilo, buono ma non eccellente ma neanche solo sufficiente. Non ambisco a raggiungere grandi vette, mi basta fare quello che amo ed essere contento così. Mi fanno sorridere in maniera bonaria quelli che dicono che lo stile, fondamentalmente, sa di già sentito. Come detto, è la rilettura di una storia già narrata, il remix di una canzone già esistente, ma fatto secondo il mio stile. Diamo a Cesare ciò che è di Cesare. :)
07 - Come è possibile acquistare il tuo album?
Su Bandcamp, su Spotify e su Amazon. Vorrei realizzare anche un CD fisico, al momento per una faccenda di costi e per l’assenza di concerti o eventi in cui poterli esporre o vendere, è un’azione ancora nel cassetto, ma giuro che un giorno vedranno la luce. E anche un DVD live!
08 - A te l’ultima parola! Un saluto!
Vi ringrazio del tempo concesso, è sempre un piacere fare quattro chiacchiere con chi si interessa di scoprire queste piccole realtà . Alla fine della fiera io, Alfred Zilla, sono solo un uomo che cerca modestamente di farsi strada nel suo universo in un mondo che sarebbe da cancellare e da riscrivere nel bene assoluto. Probabilmente nessuno sentiva il bisogno di questo nuovo album o del progetto Demoghilas, ma lo sentivo io ed è la sola cosa che conta, come per ognuno di noi. Ritagliarsi il proprio spazio, cercare il proprio posto su questa sfera di roccia, lasciare la propria impronta nella storia finché ci sarà qualcuno che se la ricordi. Ormai io credo che nulla abbia realmente importanza, che sia tutta una distrazione per distogliersi dal male che circola fuori dalla nostra zona di conforto… ma la musica, l’arte, non è affatto il minore dei mali, e neanche la droga passeggera. È forse l’unica ragione che fa alzare dal letto i disadattati come me. È la sola certezza, l’unica realtà che a differenza della gente, in amore, in amicizia e sul lavoro, non mi ha mai deluso o ferito. Vorrei solo puntare il dito verso il modo in cui i locali trattano le band emergenti, ma sarebbe come sfondare una porta aperta. I live arriveranno quando capiteranno e forse un giorno, in qualche Paese scandinavo, ci sarà una zona che mi darà l’apprezzamento che qui non trovo… non soltanto con la musica. Ci sarebbe tanto altro da dire, ma per ora basta così. Grazie ancora! Venom Zilla, passo e chiudo!
Intervista a cura di "Sonic Sonia"
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